lunedì 21 aprile 2014

Futurismo renziano

di Mattia Sangiuliano

Le parole di Renzi fanno riflettere. Che la distinzione destra-sinistra sia stata davvero soppiantata in favore di una più “pratica” opposizione idelogico-programmatica tra ciò che è “veloce” contro qualcos'altro, l'opposizione, che rappresenta il “lento”?
Che la tradizione delle politiche che hanno per oggetto “cose di destra” o “cose di sinistra” debbano davvero ora essere commisurate, successivamente appiattite e, infine, estinte su una posizione che ha per oggetto le “cose veloci” da contrapporre alle “cose lente”, secondo un semplicistico processo che vuole sbarazzarsi di storia e cultura, piegare delle regole, per far avanzare un programma, più che un progetto?



Ma, oltretutto, in base a che principio o manifesto politico-culturale si può stabilire cosa sia veloce e cosa lento? Ma, sopra ogni cosa, è mai possibile una semplificazione del tipo: “veloce è bene” mentre “lento è male”?
Ha ragione il professore veneto, ed ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, nel consigliare, dall'alto del suo magistero culturale e disciplinare, savia attenzione nell'uso della velocità al giovane “allievo”?

Tra detrattori e sostenitori i toni del premier sembrano però, al di là del giudizio di valore, quelli da manifesto futurista. In primo luogo la velocità, che spicca in ogni frase, in un ampio e dirompente avanzare di ipotesi, di programmi, proposte, condite dalla deragliante velocità di una retorica semplicistica ma non per questo meno aggrovigliata, condita di autoironia, e dal classico silenzio in risposta a scomode controrepliche.
La velocità della parola cavalca l'istantaneità del “tweet” sempre pronto, estratto alla velocità della luce dalla fondina, pronto a cavalcare il mainstream del web rimbalzando da organi di informazione a corpo elettorale, in un maremoto di mulinelli in cui è possibile notare il filo conduttore solo in quello di una febbrile cinetica interna.
Anche lo sfregio verso il popolo femminile da tempo a questa parte sembra indirizzare una nuova piega della politica italiana, dove il popolo rosa deve essere rappresentativo del cambiamento, forzato a volte, ma ancor di più deve far notizia, al di là del merito, deve essere alla fine dei conti frutto di una autolegittimazione e concessione di un potere centrale. Tutte cose di cui si è già ampiamente disquisito in ogni programma, talk e officina di informazione quotidiana. Ma le cinque donne capolista per le elezioni europee spiccano, e pesano, al di là di un vergine e immacolato curriculum vitae per il loro aspetto, per il loro essere cavalli da battaglia per una politica che vuole rinnovarsi dando un colpo di stucco alla sua immagine, o perché no, di fondo tinta o cipria.
“Combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica” sembrano altre parole d'ordine di un programma di battaglia che, nei fatti, deve essere ridimensionato alla luce dell'utilitarismo che domina sopra tutto.
Anche per la guerra siamo a cavallo, dal “movimento aggressivo” sino a “lo schiaffo ed il pugno” di violenza futurista, immagini che si sposano bene e programmaticamente con l'inamovibilità dall'acquisto dei tanto desiderati F35.
Non a caso la poesia più famosa e studiata a scuola, è l'esempio lampante di “Bombardamento” di Filippo Tommaso Marinetti.
Ulteriore punto di contatto sono i giochi di parole, il susseguirsi di lallazioni infantili, che hanno un punto di contatto con l'autoironico intento comunicativo renziano, poco lontano dalle onomatopee del futurismo “tradizionale”, ricco dei più che noti suoni “tam-tumb-tumb” o “pluff-plaff”, ma molto significativo per gli esiti che raggiunge con i suoi continui ludi verbali; un esempio per tutti è il noto e celeberrimo discorso in cui il gioco di “fare” e “sapere”, si traduce in un “saper dire”
Anche il non accettare autorevoli critiche e – lenti – punti di vista è tutto un programma dal sapore futurista, se non nei toni, almeno nei contenuti: “perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori”.
Manifesto futurista alla mano gli argomenti ci sono tutti da “l'amor del pericolo” passando per la sfilza concettuale sovente ripetuta di “coraggio”, “audacia”, ribellione”. E ancora “l'insonnia febbrile” sembra dipinta apposta per il legame medium e politica, dai cinguettii di coraggio e di piccoli passi e progetti, lanciati nottetempo o all'alba.
Non fosse poi che l'intento incendiario verso i musei si sia tradotto in politica estera, da una intenzione di andare a battere i pugni in Europa a un omaggiare, invece che la Gioconda, la cancelliera, e non con un fiore, bensì con una maglietta di calcio.
Il cerchio si chiude ancora una volta con quella tradizione, lenta, ed estenuante di valori che hanno sorretto una Politica con la “p” maiuscola, ormai superata nelle parole, fatta di impegno, militanza, attivismo dalla base, che ha portato alla condivisione di molteplici battaglie per valore che dall'alto bisogna scavalcare. Il peso della tradizione e dei valori, infatti, è troppo grande nell'incedere verso il futuro, il peso di tali ideali non farebbe che rallentare l'avanzata. Come è scritto nel Manifesto:
«Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un'urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione»
Ma la domanda di quel fantomatico Futurismo renziano, così sicuro di se, così veloce dal voler superare tutto e tutti, non è poi neppure così implicita:
«Volete dunque sprecare tutte le vostre forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti?»

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