martedì 12 febbraio 2013

Habemus Papam?

La risposta nasce logica e spontanea: "Nein!"

Questo non vuole essere uno di quei post nati con l'intento di cavalcare l'onda del mainstream con una bella notizia fresca fresca di cronaca. Il mio intento, come sempre, è quello di stimolare raccoglimento e una riflessione.

Joseph Aloisius Ratzinger è stato nominato il 19 aprile 2005 vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica. L'11 febbraio 2013 ha comunicato durante il concistorio la sua rinuncia al soglio pontificio. La rinuncia sarà effettiva solamente il 28 di questo mese.
Lo stesso Benedetto XVI, durante il concistorio (rigorosamente in latino), ha richiamato l'attenzione sul vigore necessario per poter governare "la barca di San Pietro", un vigore che, come ha ammesso egli stesso, era venuto a mancare. Il papa dunque, "ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà" ha dichiarato di "rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, successore di San Pietro".
Fulmine a ciel sereno esploso in una deflagrazione
improvvisa quanto inaspettata, tant'è che molti "impiegati" poco ferrati nella lingua latina, hanno continuato a lavorare dopo queste sconvolgenti dichiarazioni del pontefice, come riferiscono gli inviati speciali del "Tg La7".
Osservando attentamente un qualsiasi TG con le sue carrellate di immagini, si può notare un pontefice molto stanco, spossato, che non di rado ha bisogno del sostegno dei suoi prelati. La malattia è infatti una delle ipotesi più accreditate che possono giustificare la rinuncia, da parte del pontefice, del suo magistero spirituale. Lo stesso papa, in apertura del concistorio ha fatto riferimento alla sua "età avanzata" che impedirebbe l'esercizio del "magistero petrino".
La situazione, però, merita un'attenta analisi. Già più volte nel corso di trasmissioni e interviste, per bocca dello stesso pontefice si è potuto carpire che questi non si sentiva "adatto" al ruolo di primo piano in seno alla Chiesa cattolica. Joseph Ratzinger, teologo, aveva più volte detto di essere uno studioso prima di tutto, quasi a voler lasciare intendere che la pace del chiostro potesse essere la sua vera vocazione, nonché unica ragione d'essere. Sempre nel corso di varie interviste e in occasione di un libro intervista pubblicato l'anno scorso (Luce del mondo), alla domanda se avesse o meno intensione di "lasciare" la sua carica dando le dimissioni aveva risposto:
"Quando il pericolo è grande non si può scappare ecco perché non è il momento di dimettersi. Ci si può dimettere in un momento di serenità o quando non ce la si fa più[...]. Quando si giunge alla chiara consapevolezza di non essere in grado di continuare in questo caso il Papa ha il diritto e in alcuni casi il dovere di dimettersi."
Gesto premeditato dunque, risalente al periodo degli scandali: dal "caso Maciel", al "caso Irlanda", passando per il noto Vatileaks. Elementi che, uniti all'ansia di rinnovamento, in primo luogo del pensiero degli uomini ecclesiastici all'interno di un mondo in rapidissima evoluzione, ha contribuito ad alimentare un certo sentimento di distacco nel teologo e studioso Benedetto XVI che si è sentito più volte "abbandonato".

Settimo papa ad abdicare dopo Clemente I, Papa Ponziano, Papa Silverio e quel Celestino V "che fece per viltade il gran rifiuto" (rievocando parole di dantesca memoria).

La viltà è forse il filo rosso che collega personalità anche così cronologicamente distanti fra loro? Oppure; non è presente una certa lungimiranza nel teologo (e papa) Ratzinger? Viviamo in un'epoca di continui mutamenti dove il cambiamento è visto non solo come necessario ma addirittura come bisogno impellente. In questo ultimo periodo il pontefice ha affrontato e dibattuto su numerose questioni: dall'uso di anticoncezionali-contraccettivi. alla tanto annosa questione dei matrimoni e adozioni che riguardano le "coppie di fatto". Benedetto XVI si è reso consapevole del bisogno di cambiare la Chiesa per poter creare un edificio vicino ai fedeli continuando l'opera di avvicinamento a non credenti nell'intento ecumenico avviato dal suo predecessore Giovanni Paolo II, senza però rinnovare anche formalmente il suo "aspetto". Molte contraddizioni hanno caratterizzato il pontificato di Ratzinger. Le messe e le comunicazioni in latino sono l'esempio più lampante che sancisce una distanza pressoché oceanica con quanto stabilito dalla riforma liturgica del Concilio Vaticano II e quanto fatto dallo stesso papa Wojtyla.
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ravvisa nel gesto di Ratzinger: "grande coraggio".
Le dimissioni di papa Ratzinger possono essere considerate il sintomo di una nuova coscienza collettiva? Il suo gesto è solamente viltà oppure è il simbolo di un nuovo bisogno di cambiamento che si sta muovendo sotterraneo, sino a toccare tutti i gangli della società? Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, non è riuscito a cambiare l'ottica della Chiesa; le sue dimissioni sono il sintomo di una inadeguatezza a voler cambiare radicalmente pur prendendo coscienza del bisogno del mutamento? Se si, il suo successore riuscirà a cambiare ciò che Ratzinger non si è sentito di trasformare?

Attendiamo la fumata bianca.

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